martedì 28 maggio 2013

Ben Hogan's secret

É quasi incredibile come ancora oggi, nell'età moderna del golf atletico di Tiger Woods, Rory McIlroy, Bubba Watson, cosi tante persone nel mondo del golf si chiedano quale fosse il segreto di Ben Hogan.
Nel leggere tutto ciò che si è detto e scritto viene da pensare al segreto di Ben Hogan come l’equivalente, in ambito golfistico, di quello che era la ricerca del Sacro Graal nel medioevo. Giocatori, allenatori, commentatori si perdono nell'analisi del suo swing, evidenziando di volta in volta qualche particolare specifico del suo movimento; il polso, certamente, ma anche il ferro che si abbassa nel downswing, il finish alto, la distensione del braccio destro nel follow through. Fa sorridere pensare che in realtà, e ne sono praticamente certo, non vi e nessun segreto nello swing di Ben Hogan. Tutto ciò che vi è da sapere è scritto, nero su bianco, nelle pagine che avete appena letto. E la dedizione con cui il grande Hogan spiega ogni particolare dello swing non lascia dubbi. Cosi come io personalmente non ho dubbi che, se Ben Hogan avesse mai avuto un segreto, lo avrebbe divulgato senza problemi, perché per lui il golf era anche questo, ovvero contribuire alla conoscenza di questo bellissimo sport.
Dalle sue parole, e vi consiglio di vedere l'intervista che rilasciò nel 1977su Youtube, si avverte prima di tutto quanto rispetto nutrisse per il gioco del golf, e quanta gratitudine provava per una disciplina che gli aveva dato cosi tanto.
Alla domanda che un giornalista gli fece per l'ennesima volta, su quale fosse il suo segreto, Ben Hogan rispose laconico, forse sconsolato: "The secret is in the dirt", il segreto sta nella polvere. Tutti iniziarono a pensare all'attacco della palla, alla zolla. In realtà Ben Hogan intendeva dire che il segreto sta tutto nella polvere del campo pratica, nel sudore e nella fatica quotidiana.
Non un segreto dunque, ma come lui stesso dice più volte, una sequenza coordinata di azioni, eseguite correttamente fino a quando non diventano istintive. Second nature, per la precisione.Tutto qui. A distanza di più di cinquant'anni dalla stesura di questo libro, si può ancora cogliere tutto il suo pensiero guardando un torneo dei pro.
Nel suo swing vi è tutto ciò che potete rivedere nello swing dei giocatori moderni: la connessione tra braccia e corpo di Hansen, la rotazione anticipata dei fianchi di Tiger, la supinazione del polso di Dustin Johnson,  il piano che si abbassa nel downswing di Garcia,  il finish alto di Luke Donald.
Semplicemente Hogan faceva tutto questo, insieme e meglio di chiunque altro. Certo, Arnold Palmer e Jack Nicklaus erano grandissimi campioni, ma nessun pro si sognerebbe mai di copiare il loro swing. Troppo personale, troppo fisico. Lo swing di Mr. Hogan invece, è ancora oggi per chi lo rivede una gioia per gli occhi. La grazia, l’eleganza e la potenza in un unico fluido movimento.
Mi piace terminare questo blog con un ultima nota biografica sull'autore.
Nel 1953 Ben Hogan partecipò a solo cinque tornei, tra cui tre major. Li vinse tutti e cinque. Dopo quello che venne definito il suo Golden Year, il suo impegno sul tour si limitò a quattro o cinque tornei all'anno. Il suo fisico non poteva permettergli altro. Dal 1961 solo qualche esibizione e la partecipazione al Master come past champion.
Proprio all’Augusta National, nel 1967, a cinquantaquattro anni, arrivò decimo. Nel terzo giro marcò un 66, sei sotto il par del campo. 36 colpi nelle front nine, 30, dico 30 colpi nelle back nine. Uno score card da 11 pars, un bogey e 7 birdies.


Quel pomeriggio ad Augusta viene ancora ricordato come lo “Special Saturday”, uno di quei rari momenti in cui le migliaia di persone presenti si resero conto di essere testimoni di una giornata storica per il golf.
Vi ringrazio per l'attenzione concessa a queste parole. Non so a voi, ma a me  leggere per l'ennesima volta il libro mi ha fatto un gran bene. E se il vostro swing  migliorerà grazie a questo blog, beh, credo che anche Ben Hogan ne rimarrà soddisfatto. Buon gioco.